E' legato ad uno strano incidente. “Un ventilatore difettoso, caduto nella vasca da bagno, provocò la morte per folgorazione di Thomas Merton (1915-1968), monaco trappista e scrittore, durante un convegno (10-12-1968) tra monaci di diverse religioni a Bangkok, in Tailandia.
L' articolo commemorativo di una rivista, passandomi per caso sotto gli occhi, mi fece ricordare l'emozione con cui era vissuta, nel nostro istituto religioso, da me appena sedicenne e dalle altre novizie solo qualche anno in più, l'uscita del libro di Thomas Merton: “La Montagna dalle sette balze”.
Non si viveva al massimo dell'informazione, ma se ne sentiva parlare come di un evento mondiale, qualcosa di irripetibile, mai riscontrato, e in universale offerta così da sentire che di quel libro non si poteva proprio fare a meno. Il rigore del noviziato non concedeva spazio a desideri di alcun tipo, che non fossero desideri di tutta rinuncia e pura santità. Non ricordo quando e come ho avuto il libro tra le mani. Mi sovviene il fatto che davanti ad alcune situazioni della sua vita: perdita della mamma a sei anni, del papà a sedici, dell'unico fratello all'inizio della la II guerra mondiale, ho goduto intensamente per la sua fama, felice che fosse amato da tutti.
Dice di lui un amico che era entrato in monastero “per sparire dal mondo ed entrare nell'anonimato e nel silenzio. Ma lo scrittore che doveva scomparire dalla scena, il monaco che ha continuato a sottolineare che l'esperienza mistica non può essere descritta dalle parole, ha lasciato in ventisette anni più di sessanta libri, centinaia di articoli, prefazioni, recensioni, più di 3500 lettere, e una serie ininterrotta di diari, a cui vanno aggiunte le moltissime conferenze per uso interno del monastero, registrate su audiocassette.
L'essere ricercato in tutti i modi e in ogni momento, il non poter vivere totalmente il silenzio che gustava a volte doveva creargli un dramma continuo.
I voti religiosi che ho abbracciato, scrive, avrebbero dovuto liberarmi da ogni traccia di identificazione personale. Ma quest'ombra, il mio doppio, questo scrittore, mi ha seguito nel monastero...dovrebbe essere morto, invece continuo ad incontrarlo sulla soglia della mia vita di preghiera e mi segue anche in chiesa...continua a produrre libri nel silenzio che dovrebbe essere riempito dalla dolcezza dell'infinita oscurità della contemplazione e quel che è peggio è che ha i miei superiori dalla sua parte. Non hanno alcuna intenzione di scacciarlo e io non riesco a sbarazzarmene” (La Montagna dalle Sette Balze).
Presto divenne sempre più pesante anche il fardello degli scritti e studi su Merton, a cui vanno aggiunte le numerose conferenze organizzate dalle varie branche della Thomas Merton Society, la “sua vera tomba” secondo gli amici.
Egli è un grande amante della natura:
Le nuvole basse all'orizzonte...la prospettiva dei pali della staccionata che sfocia nel cielo, i grandi cedri squassati e agitati dal vento, la realtà del presente e del futuro...il mio amore è per tutti, equanime, neutrale, limpido...semplice e libero come il cielo perchè amo tutti e non sono posseduto da nessuno, non sono impedito e legato da nulla. Devo diventare una persona che nessuno conosce per evitare di essere ricordato e venire continuamente ricercato. ( Il Segno di Giona)
La mia preghiera è simile a un canto di lode che sgorga dal centro, che è Nulla e Silenzio. Il permanere del mio senso di identità è un ostacolo insormontabile a meno che Dio stesso non rimuova l'ostacolo. Se lui vuole, può trasformare questo nulla in un totale trasparenza. (Lettere sull'esperienza religiosa)
La vita stessa del monastero incominciò presto a porgli seri interrogativi:
“La nostra spiritualità professionale spesso è come un velo che impedisce il contatto con la nostra nuda realtà interiore. Tra i monaci è diffusa la tendenza negativa a perdersi in una personalità collettiva professionale, a lasciarci forgiare con uno stampo” (Il Segno di Giona)
I suoi diari rivelano che la liturgia comunitaria lo frustrava e a lui appariva sempre più assurda e irreale, specialmente durante i grandi cicli festivi di Natale e di Pasqua che egli trovava “pomposi, superficialmente spettacolari e svuotati di senso”. A tutto questo trovava un significato nella natura. Ma la primavera, fuori, era sacra.
In un altro diario scrive che il messaggio di Dio fu proclamato ai pastori nel silenzio e con grande semplicità, un silenzio e una semplicità che sono sempre più difficili da trovare nella chiesa istituzionale. Per ritrovarli bisogna ritornare a un rapporto diretto con il mondo naturale.
E' necessario per i monaci lavorare nei campi, sotto la pioggia, nel fango, nel vento: sono questi i nostri maestri dei novizi, che formano la nostra contemplazione, ci insegnano le virtù e ci rendono stabili come la terra in cui viviamo.
Nel 1965 Merton ottenne il permesso di trasferirsi in un eremo non lontano dal monastero nel quale si trovava sempre più a disagio. “La vita solitaria che sto iniziando a vivere, scrive in una lettera, è ciò che cercavo entrando in monastero”.
In effetti, nell'eremo Merton fiorisce. Legge un po' di tutto: i classici della spiritualità occidentale, o bizantina, testi buddisti, sufi,taoisti, ebraici, indiani, poesia di ogni epoca e paese, antropologia, sociologia, politica, ecologia.
Al momento vivo da solo nei boschi. Sono un eremita e ne sono molto felice. Lavoro. Prego. Medito. Studio lo Zen. Scrivo parecchi articoli sul buddismo. E sono 'presente' per tutti i miei amici in tutte le parti del mondo.
La mia vita da eremita è molto più aperta di quello che vivevo in monastero.
(Lettera a Victoria Ocampo, 20-1-1967)
(cfr Thomas Merton:
“Il paradosso della solitudine” di Andrea Andritto-in FRATERNITA' n° 15-2008)