Quando nel cattolicesimo si presenta una verità che suona come nuova o trattata con riserva si sente subito domandare: bisogna crederci? È obbligatorio farlo? Nella chiesa cattolica ci sono affermazioni, dottrinali o meno, dogmatiche o no, a cui viene fatto obbligo di credere. In un discorso apparso su questo blog, si è visto che dopo il II Concilio di Costantinopoli non c'è stata da parte della chiesa una presa di posizione netta riguardo alla reincarnazione.
Mi sarebbe piaciuto sapere quale opinione avevano al riguardo, persone dalla fede straordinaria di mia conoscenza.
Ho ritrovato gli appunti di una conversazione tenuta da un monaco dalla forte e variegata personalità, Giovanni Vannucci (1913-1984), appartenente all'Istituto dei “Servi di Maria”, una fondazione che risale ai tempi di San Francesco d' Assisi.
“Qualunque uomo che crede nella risurrezione di Cristo”, diceva P. Giovanni”, in qualunque situazione venga a trovarsi, vi introduce sempre degli elementi di apertura, di “oltre”, di superamento di tutto ciò che può essere pesante, degradato anche energicamente. Credendo nella risurrezione di Cristo, noi non possiamo accettare niente di statico, di permanente e di fisso su nessun piano della nostra esistenza.
Se credo alla risurrezione di Cristo, io ogni giorno devo riuscire a rinnovare tutto il mio pensiero, tutto il bagaglio delle mie idee; ogni giorno devo rinnovare tutta la mia emotività, la mia sensibilità, il mio rapporto emotivo con gli altri; ogni giorno la mia carne deve assumere un'intensità nuova di vita...”
Non alludeva alla reincarnazione, ma era talmente aperto di fronte a qualsiasi problematica da spronare chi lo ascoltava a valorizzare le proprie intuizioni personali con equilibrio ed entusiasmo.
“Cristo è il distruttore di tutte le forme, non accetta neppure l'ultima forma, che è quella cadaverica, la distrugge ed appare ai discepoli in una forma nuova. Quando appare nel cenacolo i discepoli non lo riconoscono, pensano che sia un fantasma; ai discepoli di Emmaus si rivela in una maniera tale che essi non lo comprendono. Nel momento in cui si fermano a consumare il pasto, quando lo vedono spezzare il pane, capiscono che quello è il Maestro; sulle rive del mare i discepoli non lo riconoscono, neppure Pietro.
Gesù ha una forma differente, è andato oltre la forma cadaverica, l'ha distrutta e si è manifestato in forme talmente nuove che ora con le concezioni fisiche moderne si possono in qualche maniera avvicinare e rendersi più comprensibili. Vince la materia entrando nel cenacolo addirittura a porte chiuse”.
P. Giovanni ci tiene a far capire che cosa è fondamentale per noi e cioè : “Cristo che è la risurrezione e la vita” (Gv 11, 25). In base a questa verità noi dobbiamo coraggiosamente confrontare tutte le nostre esperienze umane, anche sul piano sociale ed ecclesiale. Niente è fermo, fisso, ciò che è determinato per sempre non è vivo, ciò che esiste è in continua trasformazione.
La reincarnazione può piacere o non piacere. Comporta elementi che la possono rendere auspicabile ed altri che la fanno rifiutare. Per noi cristiani, osserva il Padre, il compito è quello di essere sempre oltre il presente, per portare nel presente il futuro”.
“Osservate che cos'è la vita, esorta: la vita è una continua trasfigurazione. Non trasformazione, perché si passa da una figura ad un' altra. In questo momento la campagna è molto diversa da un mese fa quando gli alberi erano coperti di fiori.
La vita passa di trasfigurazione in trasfigurazione. Se il nostro corpo si fissasse nella figura che abbiamo attualmente, saremmo delle mummie, e se una pianta si fissasse in un solo momento del suo sviluppo sarebbe un tronco morto”.
Qualcuno presente alla conversazione osservò:
“La chiesa difende sempre una certa tradizione e staticità e se cammina, lo fa perché viene spinta in avanti. Come mai?
“Non è la chiesa, siamo forse noi preti statici perché ci troviamo bene dentro una certa figura o tradizione, e allora diciamo che questa è la 'tradizione'...
Domandiamoci ad es. qual'é la tradizione di una quercia. Voi mettete nel terreno una ghianda, dopo un po' di tempo avete due foglioline e così incomincia la tradizione della quercia. Dopo 500 anni questa quercia è ben diversa dalle foglioline apparse dalla ghianda, ma continua la tradizione in una trasfigurazione incessante, cioè passando da una forma ad un'altra forma, e questa forma corrisponde alla sua età, al nuovo ambiente, a tante nuove esigenze, all'espandersi delle radici e dei rami, ma è sempre fedele alla prima ghianda. Così la tradizione nella chiesa è vivente, e deve essere una trasfigurazione continua.
Riuscire ad essere viventi significa cambiare continuamente anche i nostri pensieri.
Un'espressione dogmatica rappresenta la determinazione su un particolare punto di dottrina cristiana, dovuta a un particolare tempo, cultura, sensibilità e mitologia.
Se io do oggi una definizione di Gesù Cristo, domani mi si presenta l' opportunità di precisarla meglio. Una definizione del mistero divino, del mistero della Chiesa non può essere permanente, perché è sempre legata ad un momento di sviluppo, di cultura, di ideologia della persona che dà questa definizione. La tradizione è un fatto vivente, non è la ripetizione di un passato, che è morto, la tradizione è andare avanti”.
A P. Giovanni non sfuggiva il curioso fenomeno per cui i valori che la Chiesa dovrebbe testimoniare nascono a volte al di fuori della Chiesa stessa. Esemplifica così:
“Il rispetto della libertà dell'uomo, (dobbiamo dirlo onestamente!) è nato al di fuori degli ambienti del clero, le inquisizioni le abbiamo fatte noi preti, vescovi, papi ecc., il rispetto per la libertà di pensiero è venuto da fuori ed è una visione della vita squisitamente cristiana. Questo lo dico non per far convergere tutto a Cristo, per scopo apologetico, ma perché è così: dopo l'apparizione di Cristo nasce un movimento molto rapido di trasformazione della coscienza dell'uomo, e ogni volta che si verifica una solidificazione di un elemento dentro questa corrente impetuosa che è nata con Cristo, si ha sempre una deformazione nell'ambito del Cristianesimo. Ma una coscienza che vive il mistero della risurrezione di Cristo capisce che Cristo in quel determinato momento è fuori della Chiesa cosidetta e non dentro la Chiesa”.
Senza l'essenziale peculiare dottrina di Cristo, tradotta dai credenti in vita vissuta, la Chiesa non è più tale, cioè la Chiesa di Cristo, anche se le gerarchie, le strutture, l'organizzazione, i ritmi abituali ecc... appaiono gli stessi.
( Cfr. “Il senso della risurrezione di Cristo e la nostra”in Fraternità-Genn.Giugno-2011)